La civiltà contadina nel passato in Aquino

La civiltà contadina

I falò

Una tradizione ancora viva. Una volta si facevano i falò alla vigilia di S.Tommaso, S.Giuseppe e l’Annunziata, ora si fanno solo per S.Tommaso, nostro patrono. Ogni famiglia prepara in tempo residui della potatura e li ammassa in un luogo non pericoloso, poi alla vigilia  li brucia cercando di fare la fiamma più alta rispetto a tutti gli altri che nello stesso tempo ardono. Una volta era anche importante che tutta la famiglia fosse presente e recitasse una preghiera. Ancora adesso, come nel passato, dove stanno figli piccoli, si sentono gridolini di contentezza mentre saltellano intorno a questa grande fiamma.

 

La mietitura del grano

Negli anni passati, non molto dopo la guerra, il grano si mieteva con il falcetto e per questo occorrevano molte braccia, quindi i proprietari del grano andavano a cercarle verso le montagne di Viticuso o Terelle, dove non c’ era lavoro. Ogni agricoltore  tornava con un certo numero di mietitori e per tutto il periodo che poteva durare anche dieci giorni questi signori venivano alloggiati nella propria masseria, magari nei capannoni o nelle stalle,sopra la paglia, altro non c’era. Anche il mangiare veniva offerto dal proprietario che per i tempi era abbondante e di qualità (il contadino lesinava durante l’ anno, ma per i lavori pesanti provvedeva con ragionevolezza) : Si facevano tre pasti principali (colazione, pranzo e cena)e due merende (una tra la colazione e il pranzo ed un’ altra tra il pranzo e la cena).Il lavoro era massacrante e questo mangiare insieme a vino a volontà era veramente una cosa desiderata e necessaria.

 

La falciatura del fieno

I contadini si scambiavano l’ opera, perché il lavoro veniva eseguito a mano ed era faticoso. Si  cominciava la mattina all’ alba per lavorare il più possibile col fresco e si procedeva in file scaglionate portando avanti, ognuno , una striscia di qualche mezzo metro; arrivati al confine del podere si tornava indietro e si ripartiva. Verso le 10 c’era la colazione a base di patate con il sugo e salsiccia, a mezzogiorno si smetteva e si pranzava con pasta al sugo di gallo che fungeva anche da secondo. L’ attrezzo che si usava era la falce, costituita da un manico in legno  fatto a misura da ogni agricoltore e da una base tagliente in metallo acciaioso che il contadino arrotava frequentemente con la cote che portava nelle tasca posteriore.  … e mentre andavano vanti nel lavoro, ripetevano : “Pane, vino e prosciutto, la falce taglia tutto” per far capire alla massaia che era l’ ora del pasto.

 

trebbiatura.JPGLa trebbia

La trebbia era una cosa bella per grandi e piccoli: i grandi erano contenti perché finalmente raccoglievano e i piccoli perché finalmente vedevano una meraviglia della tecnica, l’ unica macchina che si poteva osservare in zona una volta all’ anno per noi che non uscivamo mai. Quando arrivava la trebbia noi bambini la seguivamo incantati per tutto il suo percorso: c’ era un trattore  che la trainava fino alla prima aia e lì si piazzava per cominciare il giorno dopo a trebbiare il grano. La trebbiatura richiedeva molte persone che si scambiavano l’ opera, la fatica era tremenda, perché si lavorava nei mesi di luglio ed agosto sotto una polvere spessa  e fastidiosa, sia pure a turni di dieci tomoli, ma era comunque una festa, perché alla fine si mangiava e beveva abbondantemente. Le donne  si occupavano soprattutto del mangiare: dovevano preparare una tavolata di circa trenta persone (venivano invitati anche i parenti come ospiti) cucinando nel migliore dei modi carne d’ oca bianca in tegame di terracotta, enorme, che ancora oggi rimpiangiamo per la bontà di sapore che dava alle pietanze.

 

La maggese

Si faceva nel mese di maggio, perciò si chiamava così. Era un’ aratura profonda per rivoltare bene il terreno e raddoppiare il raccolto. I nostri contadini si alzavano presto la mattina, anche alle due, per lavorare col fresco, soprattutto per risparmiare le mucche, che dovevano affrontare una fatica enorme per solcare la terra dura del periodo in questione. Molto spesso i contadini dovevano unire le loro mucche per tirare l’ aratro in alcuni terreni impossibili, anche con tre paia  di bestie aggiogate.

 

Le mucche da lavoro

Le nostre mucche erano quelle bianche da lavoro, ma davano anche il latte per i loro vitelli e per la famiglia. Ogni contadino  non era tale se non aveva le mucche che allevava personalmente e “domava” al momento opportuno. Una mucca non domata non era adatta al lavoro e quindi non serviva al contadino, ma ciò non accadeva. Una mucca aveva nove mesi di gravidanza, ma difficilmente accadeva  che ritornasse gravida subito dopo, quindi a volte si doveva penare un po’ prima di avere un altro vitello, che poi rappresentava il maggior mezzo di guadagno per l’ agricoltore.

 

La stalla (“ufficio del contadino”)

La stalla stava al piano terra della casa agricola perché doveva essere a portata di mano: se di notte si sentiva un rumore, bisognava andare a vedere: poteva star male un animale, poteva  stare in fase di parto una mucca ed aveva bisogno di aiuto, potevano essere giunti dei ladri … e quello era il bene più prezioso. Nella stalla si poteva accedere da una porta interna o da una botola della camera da letto durante la notte. Il cattivo odore a quei tempi era un buon odore, perché era il sostentamento prezioso.

 

L’ aratro

Avevamo due tipi di aratro: quello di ferro e quello di legno. L’ aratro di ferro era a versoio e serviva per l’ aratura  in profondità, quello di legno aveva una punta protetta dal vomere in ferro che aveva il compito di scavare il terreno senza rompersi. Questo secondo era più leggero e serviva per ripassare terreni docili, smossi l’ anno prima con l’ aratro pesante. Ambedue venivano tirati dai buoi in coppia o in doppia o tripla coppia . Con l’ aratro di legno si semina il “pascone”, con quello in ferro si seminava il grano.

 

La semina del “pascone” o prato

Avveniva tra settembre ed ottobre, su un terreno che l’ anno prima aveva ospitato il grano: questo per due motivi, uno era dovuto alla necessaria rotazione agraria, l’ altro  al fatto che così si poteva sfruttare il residuo concime avanzato al grano. La prima fase consisteva nel solcare il terreno con l’ aratro di legno, successivamente si procedeva con la semina a spaglio del prato che poteva essere” prato rosso” o “prato greco” ,  quindi si passava il “mangano” per spianare i solchi e coprire i semi. A maggio il prato era pronto per essere dato come alimento al bestiame oppure per essere essiccato e messo da parte per i mesi freddi.

 

La semina del grano

Avveniva tra ottobre e novembre. Il campo era stato arato a maggio con l’ aratro pesante a volta orecchio e la maggese aveva avuto il tempo di sciogliersi ai raggi del solleone  e delle prime piogge. Si “ristoccava” la maggese, cioè si solcava di traverso con l’ aratro leggero e si seminava a spaglio il grano e  quindi si copriva con il “mangano” (attrezzo costituito da una tavola di traverso fornita di bure per essere agganciata al giogo). La concimazione era avvenuta precedentemente alla maggese, trasportando il letame sul posto e spargendolo accuratamente con la forcina.

 

Il letame

Ogni contadino aveva una stalla  che veniva pulita due volte al giorno (qualcuno lo faceva una volta, ma era considerato come un padre che oggi cura poco i propri figli) e gli escrementi misti a paglia venivano buttati nella concimaia. Il mucchio diventava sempre più alto e durante l’ inverno fumava: era quello che oggi è conosciuto col nome di biogas, ma allora nessuno sapeva ciò. Ad aprile o maggio il letame era diventato ottimo concime e poteva essere sparso sul terreno per fertilizzarlo.

Le schegge

Negli anni Cinquanta e sessanta i ragazzi,soprattutto di campagna, durante il periodo estivo, quando i campi  erano arati, andavano a cercare le schegge dissotterrate dagli aratri nel fare la maggese. Per noi ragazzi del dopoguerra era un modo per ricavarne qualche lira,  vendendo ai “ferrivecchi” per comprare delle caramelle. Si trattava di pezzi di bombe  esplose che di anno in anno venivano alla luce e divenivano sempre più rari. Erano fortunati quelli che tra noi trovavano residui d’ ottone che costavano di più.

La civiltà contadina nel passato in Aquinoultima modifica: 2010-02-09T17:50:00+01:00da flosm5
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