La donna nel medioevo

La donna nel medioevo

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LA CASTELLANA

Le poesie d’amore ed i romanzi “cortesi” del XII e XIII  secolo

che tanto piacciono alla raffinata civiltà delle corti e dei castelli,

ci fanno conoscere tutta una serie di figure  femminili.

Queste  donne, per lo più, sono presentate  con  caratteristiche

pressoché identiche: sono tutte avvolte in una medesima luce  di

leggiadria e bellezza.

A detta dei poeti, castellane e nobili donzelle sono sempre crea­ture

di meravigliosa bellezza; ma la donna non è soltanto  bel­la, è

anche adorna di ogni virtù. Nella realtà concreta, la  vita

delle dame aristocratiche doveva essere un po’meno  romantica.

Non tutte le castellane avevano lunghi capelli d’oro  e

pelle  bianca come la neve e, sopratutto, non passavano  le  loro

giornate ascoltando i sospiri d’amore del trovatore inginocchiato

ai  loro piedi. Innanzitutto la castel­lana  doveva dirigere e sorvegliare

il lavoro delle ancelle  ad­dette  alla tessitura, che era l’attività che occupava il  primo

posto nel lavoro praticato dalle donne. Questa attivitàera pra­ticata

fin dalla più remota antichità: ogni donna, nella sua casa,

o nella sua capanna, filava e tesseva per la  propria  fami­glia.

La castellana non solo sorvegliava le ancelle, ma  parteci­pava

anch’essa all’ esecuzione di splendidi lavori di ricamo: tappeti ed

arazzi, che ornavano le sale del castello, ci hanno lasciato

testimonianze storiche, in quanto riproducevano avvenimenti  stori­ci.

Nelle famiglie più modeste, le castellane, con  l’aiuto  di

qualche servo, si occupavano della cucina, del forno e della

lavanderia. Un altro compito della castellana era la cura  dell’edu­cazione

dei figli o, per meglio dire, delle figlie, poiché i maschietti,  fin  dai sei-sette anni,

venivano sottratti  alle  cure della madre e affidati a personale maschile.

La  castellana occupava il suo poco tempo libero a  leggere,  che

era  una delle sue attività preferite, poi vi era la danza e  il

canto.

Le  donne  dell’aristocrazia erano più colte degli  uomini,  esse

Avevano spesso una discreta cultura letteraria ed artistica.

Andavano  anche con il marito a cavallo e partecipavano alle  battute

di caccia, assistevano ai tornei e prendevano parte alle feste e

alle riunioni mondane che si svolgevano nei castelli vicini.

 

 

LA DONNA CONTADINA

Le figlie e le sorelle del contadino non potevano sposarsi  con

uomini  di un’altra villa senza il permesso del loro signore  che

lo  dava soltanto se voleva, e facendoselo pagare  molto.  Questo

perché il signore non voleva che diminuissero le persone che

la­voravano la sua terra. I piccoli animali domestici erano accuditi

dalle donne dei contadini, che dovevano anche lavorare insieme agli

uomini  nei campi, filare e tessere per la propria famiglia,  e  in
più dovevano lavorare per il signore, nel fabbricato della vil­la

dove tutte le donne venivano riunite a preparare i panni e  i

drappi per la casa del signore.

 

 

 

LA SERVA : vita quotidiana

Nell’età   carolingia le schiave o serve del feudo  lavoravano

nella  distesa del signore. In questa distesa, quasi  al  centro,

c’era  una piccola casa di pietra di tre o quattro stanze  e  nel

suo  cortile interno stavano recintate da una fitta siepe le  casette

di legno con il tetto d’erba o di stoppie, dove  lavoravano

le  serve. Quel quartiere separato era affiancato da una  cucina,

da  un essiccatoio, dalle botteghe degli artigiani, dai granai  e

dalle  stalle.  Al di là della siepe, si estendevano  gli  enormi

campi  seminati, i prati, le vigne e i frutteti. E  all’orizzonte

c’era il fitto bosco che sbarrava la vista, che era ancora  terra

del signore.

Serve, schiave o colone che fossero, le donne erano supersfruttate:

o adibite ai piu’ umili lavori domestici nella dimora del si­gnore,

o alla tessitura senza sosta nei laboratori. Erano obbli­gate a

sposarsi nella cerchia dei servi o dei dipendenti del  si­gnore e

i loro figli erano di proprietà di quest’ultimo.

Costrette a pagare per poter cuocere il loro scuro pane di segale

nel forno della riserva, l’unico esistente, cercavano di  risparmiare,

mangiando polenta, pappe di miglio o d’orzo, farinate.

Il tributo che dovevano versare ogni anno era costituito  principalmente

da  polli e uova, assi di legno, talora una  coppia  di

maiali o da miele, cera, sapone, olio.

Le donne, che come sempre si dedicavano al cibo, erano abili  nel

salare e affumicare la carne del maiale, nell’utilizzare il gras­so

per fabbricare candele, nel fare la birra con l’orzo fermentato.

Ma la vendita della birra e del vino era monopolio del  conte o del marchese.

 

Filatrici, tessitrici e sarte

 

Fra  i tanti compiti delle donne del feudo c’era  la  tosatura

delle pecore. La lana sudicia veniva lavata con l’orina, poi  filata

con un fuso e rocca e tessuta al telaio. Le donne  dovevano

occuparsi  inoltre di raccogliere la canapa e gli steli di  lino.

Anche la canapa veniva filata e tessuta, e serviva forse per

con­fezionare le brache e le tuniche di figli e mariti e, chissà , le

brevi vesti femminili, anche se non ci è giunta neppure

un’illu­strazione di come fosse vestita una contadina nell’età carolin­gia.

Il lino, tessuto molto piu’sottile, serviva forse per le vesti dei signori.

( La seta allora si produceva solo in Sicilia  e

in  Spagna, negli allevamenti dei bachi arabi e, piu’ in  oriente,

bizantini. )

Le serve inoltre dovevano tingere le stoffe tessute con il guado
( un fiore giallo dalle cui foglie si otteneva un colore  azzurro

che serviva a rendere una stoffa turchina ), la robbia( per il suo

rosso  fulvo ) , il cinabro( per il rosso vermiglio ) e,  infine,

confezionarle.  In poche parole, tutto il lavoro, dalla  tosatura

alla veste finita, passava per le loro mani.

 

 

Una vita da schiave

 

I manufatti confezionati dalle schiave nei laboratori appartati

dei  mansi, a volte erano cosi’ preziosi da essere inviati a  Bisanzio

in cambio d’oro. Perciò non ci stupiamo che, quando  una

schiava ricamatrice veniva fatta prigioniera, il prezzo da pagare

per riaverla era molto alto, pari a quello di un fabbro,  lavoratore

di eminente importanza sociale.

 

Tra magia e religione

 

Queste tessitrici, costrette ad un lavoro senza sosta,  avevano

molte superstizioni relative all’ordito che si imbrogliava e agli

scongiuri e alle penitenze che bisognava fare per salvare la pezza

tessuta( per esempio venti giorni di digiuno ) . Quando  qualcuna

moriva, gettavano nella cassa i pettini per cardare la lana,

con la convinzione che passando ad un’altra lavorante, non avrebbero

piu’ funzionato.

Per quanto riguarda la religione, ricordavano ancora quella  pre­-

cristiana,  cioè quella degli avi, quando le donne longobarde

non dimenticavano le loro antiche feste della  fecondità.

Le contadine franche celebravano in  segreto  antichi

culti delle fonti e degli alberi, si sedevano ai crocicchi  delle

strade,  su una pelle di toro, per indovinare il  futuro;  facevano

incantesimi,  temevano i bambini nati morti, perché diventavano

lupi  mannari bevitori di sangue e temevano le donne  nate  prima

del parto: bisognava trafiggerle con un palo affinchè non nuoces­sero.

L’ABBIGLIAMENTO FEMMINILE

 

Gli elementi base sono la veste, aderente in vita, lunga fino ai

piedi,  e la sopravveste, che per forma, lunghezza e tessuto,  si

presta a molte varianti. Generalmente la sopravveste ha un  bordo

di pelliccia ed è abbellita da preziosi ricami; alcune sono senza

maniche, altre hanno maniche staccabili, in tinta contrastante

con  quella  dell’abito. Quando esce, la donna si avvolge  in  un

manto molto ampio, di lana, di velluto o di seta; alcuni sono ornati

di  pelliccia e si chiudono sul  petto  mediante  splendidi

gioielli  lavorati.  Di solito, le damigelle  portano  i  capelli

sciolti  o  intrecciati sulle spalle; le dame  li  raccolgono  in

trecce  larghe e piatte sulle orecchie, li avvolgono  sulla  nuca

con reticelle di fili dorati, oppure li legano con strisce di seta  ingioiellata.

In quanto ai copricapo, la varietà è grande, tale da soddisfare

tutti i gusti: si va dalla semplice  cuffietta ricamata, ai cappelli

altissimi fatti a cono, a quelli terminanti addirittura con due

punte, che qualcuno chiama “corna del diavolo”, ai cappelli a

cupola rotonda con larghe tese, ornate di fio­ri; molto di moda

sono anche i veli di varia foggia, in fine mussola o in seta ricamata d’oro.

La  biancheria  invece si limita a lunghi camicioni  ricamati  al

collo e alle maniche.

Si curavano i capelli, il volto e le mani, anche orecchie,  denti

ed unghie ( cortissime ) con appositi strumenti; gli specchi sono

ancora rudimentali.

 

La donna nel medioevoultima modifica: 2010-02-17T21:15:00+01:00da flosm5
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