Il pellegrinaggio a Canneto di una volta ad Aquino
L’ iniziatore del pellegrinaggio a Canneto fu un certo Biagio Tedeschi. Ai tempi dei nostri nonni, quando un giovane poteva dire orgogliosamente:” quest’ anno vado a Canneto da solo.” era segno che aveva acquisito maturità e responsabilità e aveva conquistato la fiducia dei familiari, i quali però non mancavano di dire di nascosto a qualche Priore: mi raccomando, un occhio di riguardo per ” chìgliu vaglòne…”.
Il pellegrinaggio a Canneto dalle origini fino al 1942 era molto più impegnativo e richiedeva più sacrifici degli attuali. Le strade per la maggior parte del percorso non erano asfaltate. Erano le ormai leggendarie strade bianche dalle quali quando iniziava a piovere esalava un gradevole odore e il poeta poteva dire:”una fragranza di spenta polvere esala”, ma quanto era duro e doloroso camminarci!
Le donne mettevano nel”mojo” ( dal latino modius ), un canestro di vimini e canne, il mangiare per cinque giorni, se lo caricavano in testa e, per attutire il peso lo poggiavano sulla”spara” ( il cèrcine ).
Il cibo per il lungo andare era costituito da: pane, peperoni fritti che, essendo facilmente deperibili, erano i primi ad essere consumati; pollo e coniglio fritto che venivano consumati immediatamente dopo i peperoni, una adeguata scorta di cetrioli, peperoni, lattuga per preparare l’ insalata; olio, aceto e sale (mischiato), per condirla, dopo aver bene agitato il tutto. Per gli ultimi giorni rimanevano i cibi non deperibili: salsicce, prosciutto, il cacio locale”marzellina” ed olive. I pellegrini alle quattro del mattino si riunivano nella chiesa cattedrale in piazza S. Tommaso. Celebrata la messa si formava una processione con in testa il Crocifisso e una statua della Madonna del Cinquecento, in seguito rubata .
Al cimitero la processione sostava, gli arcipreti di allora, mons. Rocco Bonanni prima e mons. Antonio De Marco dopo, tenevano l’ omelia e impartivano la benedizione. La statua della Madonna veniva lasciata nella “cappella” mortuaria, presso il cimiteri, per essere ripresa al ritorno dei pellegrini.
Verso Atina ( giorno 19 )
Erano le prime luci dell’ alba quando i pellegrini si avviavano cantando:”Andiamo monti monti per visitar Maria!”.
Quanti rimanevano li seguivano con sguardo triste, qualche lacrima furtiva scendeva sulle guance, gli uomini furtivamente l’ asciugavano con il dorso della mano, le donne con il lembo dello “zinale” ( il grembiule ) ed ognuno pensava dentro di sé:” l’ anno prossimo andrò pure io”.
In testa alla processione c’ era il Crocifisso e nessuno osava oltrepassarlo, si formavano i gruppi sparsi come oggi, simili ad un esercito in rotta.
Pregando e cantando si camminava ( alcuni per grazia ricevuta o per voto fatto andavano scalzi! ) fino all’ Olivella. In una radura presso una chiesetta i pellegrini sostavano per riposare e fare colazione. Il sole d’ agosto picchiava già sulle teste quando si affrontava l’ erto cammino per Atina. Per abbreviare la strada si prendeva la mulattiera che tagliava vari tornanti della carrozzabile.
Giunti alla” taverna di Capo di china” si sostava, spargendosi sotto le querce per consumare il pranzo, riposare e cadere in un sonno ristoratore.
Al calar del sole, per raggiungere Atina, i pellegrini si mettevano in due file parallele, (in testa il Crocifisso e in mezzo, debitamente distanziati, i” Priori”), sempre cantando si muovevano verso la cittadina amica accolti da due ali di folla commossa, raggiungevano la Chiesa Cattedrale e, dopo, le
vicine arcate del palazzo Viscogliosi, in piazza. Spandevano a terra coperte, scialli, cialoni (mantelli di lana per donne in tessuto a trama fittissima e a strisce colorate che riparavano dal freddo e dall’acqua) e su di essi si sdraiavano per ristorare le stanche membra e per cenare.
Alcuni si incamminavano per le strade per visitare i bar e le”cantine”, per bere qualche bicchiere di vino, gassose e sorbire una” granatina”.
Si vedevano gruppi di ragazze seguite da ” scarrafoni”, (giovanotti innamorati), si scambiavano sguardi, rari ammiccamenti, rarissime parole. Quanti amori sono sorti sulle strade della fede!
Verso Picinisco ( giorno 20 )
Nelle ore antelucane, i ” Priori ” svegliavano, al suono di una campanella, i pellegrini e si riprendeva il cammino verso Picinisco. Si camminava di buona lena col fresco mattutino. Si sostava al cimitero e si attendevano le tarde ore del pomeriggio per salire in processione il colle che portava al paese. Qui l’ ospitalità era meno espansiva e più chiusa che ad Atina.
A Canneto ( giorno 21 )
Verso le tre di notte avveniva il risveglio come ad Atina e i pellegrini intraprendevano il cammino verso l’ agognata meta per una scoscesa mulattiera che attraversava boschi ameni rallegrati dal rumore delle acque del Melfa.
All’ apparire del santuario un grido di gioia e di fede prorompeva dai petti di tutti i fedeli:”Evviva Maria!”.
In processione si girava per tre volte intorno al santuario, che allora era più piccolo di ora, si entrava in Chiesa ( molti entravano a ginocchioni, qualche donna “a lingua strascinata”; si pregava, si cantava, si chiedevano grazie alla”Madonna Nera”. Poi tutti sciamavano per un luogo stabilito dai Priori, si preparavano i giacigli, si raccoglieva legna per il fuoco della notte e tutti a visitare le “bancarelle”, a comprare giocattoli e bamboline per i piccoli lasciati a casa.
A sera veniva acceso un gran fuoco, tutti vi sedevano intorno a recitare il Rosario e a cantare Inni Religiosi.
Pian piano ci si accingeva a dormire sui giacigli di coperte, scialli e cialoni.
Per ripararsi dall’ umido della notte si aprivano gli ombrelli.
Molti usavano diventare”comari o compari”, a Canneto. Per differenziarsi dai veri compari o comari di Battesimo o Cresima, si chiamavano “cummarelle” e “cumparegli”.
A piedi nudi si attraversava il gelido torrente per cinque volte, poi al centro del corso d’ acqua si intrecciavano gli indici della mano destra, si immergevano nell’ acqua freddissima, si recitava una preghiera e si diventava ” cumarelle e cumparegli”.Un’ altra usanza era quella di catturare le stelline d’ oro.
Si raccontava che sulla roccia da cui sgorgava l’ acqua del “Melfa”, la Madonna avesse sfregato la fede nuziale e da allora si vedevano sospese nell’ acqua stelline e pagliuzze che sembravano d’ oro. Molte persone, sfidando il freddo dell’ acqua gelida, cercavano di catturare “ le stelline d’ oro”. Qualcuno, raramente, attraverso il turbinio dell’ acqua riusciva ad afferrarne una, esultante tirava fuori la mano e si trovava….. niente! Gli scintillii aurei forse erano provocati da microinsetti che svanivano a contatto con l’ aria.
Verso il ritorno ( giorno 22 )
Il mattino del 22, tutti in processione al santuario per assistere alla messa e comunicarsi, usciti si camminava all’ indietro, fino ad una curva sita su una balza, passata la quale, il santuario non era più visibile. Sul sommo della balza si gridava: “ Viva Maria!”, qualche lacrima sgorgava, ci si girava per intraprendere il lungo e duro cammino del ritorno. I più giovani si ripromettevano di ritornare. Qualche anziano presago diceva: “Madonna mia, non ti rivedrò più su questa terra”!
Giunti a Settefrati, i pellegrini si recavano alle “querce”, site alla periferia del paese e dopo essersi ristorati e riposati si spandevano per la montagna a raccogliere la “rina” ( l’ origano ). Al pomeriggio si partiva per Atina, dove si entrava di sera, in processione con un cero acceso in mano e cantando: “Evviva Maria, Maria di Canneto…”! Dopo la rituale visita alla Chiesa, tutti sotto gli “archi” per il riposo.
Giorno 23: il ritorno.
Il 23 mattino, sempre di buon’ora, in cammino per il ritorno. Dopo la sosta all’ Olivella, si procedeva per Cassino, dove si visitava la Chiesa dell’ Assunta e poi tutti alle “Fontanelle”, sorgenti site presso l’ attuale cartiera di S. Benedetto.
Qui si sostava a lungo, molti ricevevano la visita di qualche familiare che con la bicicletta portava un piatto di “maccheroni” alla zita, perché mantenevano bene la cottura.
Intanto, in paese, si fremeva per l’ attesa del ritorno dei pellegrini. A mezzogiorno si udivano gli spari “a secco”, a frotte ci si incamminava verso il cimitero, verso la Casilina; i più ansiosi si incamminavano, per lo più bambini in attesa di ricevere i doni, verso Piedimonte, per l’ incontro con i pellegrini, era un vociare continuo: “Mamò, ch m si purtàt?” ( Nonna, che mi hai portato? );
“Ma, m si purtata la palla?” ( Mamma, mi hai portato la palla?);
“Ziò, m si purtat ca ccosa?” ( Zio mi hai portato qualcosa? ). La risposta data in modo burbero, ma con un sorriso malcelato era: “Scustumato, statt zitt, massera v-dem!” ( Scostumato, stai zitto, stasera vedremo! ).
Al bivio della casilina con la strada che attraversa l’ aeroporto, si formava una lunga processione, avanti il Crocifisso e il labaro della Madonna, dietro, in doppia fila, i pellegrini: prima i ragazzi, poi le donne, quindi gli uomini, dietro quanti non avevano partecipato al pellegrinaggio. Giunta al cimitero, la processione sostava per riprendere la statua lignea lasciata all’ andare, qui si univa una piccola banda musicale, con spari, canti, musica, si attraversano le vie principali del paese e poi tutti al tempio della Madonna della Libera, illuminato con archi di lampadine. Qui il parroco teneva un’ omelia, impartiva la benidizione e così finiva il pellegrinaggio.